
I Tarocchi Piemontesi
Grazie alla sua vicinanza con il Ducato di Milano, dove il gioco dei Tarocchi molto probabilmente ebbe origine, il Piemonte conobbe e usò ben presto queste carte; il documento piemontese più antico è il Discorso sopra l'ordine delle figure dei Tarocchi, scritto da Francesco Piscina da Carmagnola e pubblicato nel 1565 a Monte Regale (oggi Mondovì).
Intorno al 1830 una famiglia di Torino, i Vergnano, avviò la produzione di un nuovo modello, oggi definito "Tarocco piemontese", simile ai Tarocchi cosiddetti “di Marsiglia. Tuttavia, come ha rilevato lo storico Giordano Berti, i Tarocchi di Vergnano si distinguono dalla produzione francese per lo stile e per il contenuto di alcune carte, in particolare per il Matto, vestito con i pantaloni a sbuffo, che insegue una farfalla; per il Bagatto, che ha sul tavolo gli strumenti del calzolaio; per il Diavolo, che ha un muso di felino che spunta dall'addome; per il Giudizio, detto Angelo, dove i morti emergono dalle fiamme, collegandosi con l'iconografia popolare delle anime del Purgatorio; per l'Asso di Coppe, un vaso colmo di fiori e frutti.
Altra variazione rispetto al mazzo "marsigliese" è l'uso dei numeri arabi al posto di quelli romani.
Nella seconda metà di quel secolo, sulla base del mazzo di Vergnano fu introdotto il modello a due teste, senza dubbio utile ai giocatori che non dovevano girare le carte ogni volta che si presentavano rovesciate.