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I Tarocchi Piemontesi

  • Immagine del redattore: Maga Mago Cartomante
    Maga Mago Cartomante
  • 6 feb 2018
  • Tempo di lettura: 1 min

Grazie alla sua vicinanza con il Ducato di Milano, dove il gioco dei Tarocchi molto probabilmente ebbe origine, il Piemonte conobbe e usò ben presto queste carte;

il documento piemontese più antico è il Discorso sopra l'ordine delle figure dei Tarocchi, scritto da Francesco Piscina da Carmagnola e pubblicato nel 1565 a Monte Regale (oggi Mondovì).

Intorno al 1830 una famiglia di Torino, i Vergnano, avviò la produzione di un nuovo modello, oggi definito "Tarocco piemontese", simile ai Tarocchi cosiddetti “di Marsiglia".


Tuttavia, come ha rilevato lo storico Giordano Berti, i Tarocchi di Vergnano si distinguono dalla produzione francese per lo stile e per il contenuto di alcune carte, in particolare per il Matto, vestito con i pantaloni a sbuffo, che insegue una farfalla; per il Bagatto, che ha sul tavolo gli strumenti del calzolaio; per il Diavolo, che ha un muso di felino che spunta dall'addome; per il Giudizio, detto Angelo, dove i morti emergono dalle fiamme, collegandosi con l'iconografia popolare delle anime del Purgatorio; per l'Asso di Coppe, un vaso colmo di fiori e frutti.

Altra variazione rispetto ai "marsigliesi" è l'uso dei numeri arabi al posto di quelli romani.

Nella seconda metà di quel secolo, sulla base del mazzo di Vergnano fu introdotto il modello a due teste, senza dubbio utile ai giocatori che non dovevano girare le carte ogni volta che si presentavano rovesciate.


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